La politica sta cambiando e, di conseguenza, anche il modo di comunicarla. Con pregi e difetti. I primi: riavvicinarla alle esigenze del cittadino; è più concreta (forse troppo), con linguaggi più comprensibili e con distanze meno marcate tra eletti ed elettori. Quest’ultimo, però, per tanti è anche il primo dei difetti, accompagnato da rissosità, vacuità dei leader, delegittimazione delle istituzioni e sfiducia nelle competenze e nella autorevolezza (ricordate “uno vale uno”, a prescindere?).
Ecco, di fronte a questo quadro a rapide pennellate, i giovani come stanno messi? La vulgata popolare pensa che siano completamente distratti (come dire, in tutt’altre faccende affaccendati…); e che siano delusi e disinteressati allo stesso tempo. Refrain abusato e, parzialmente, errato. Perché i giovani (ma quale fascia di età comprende?), diciamo quelli tra i 14 (scuola superiore) e i 30, quando si dovrebbe avere in tasca un titolo di studio o un lavoro (molto, molto difficile l’ultimo), in milioni sono impegnati, invece, (numeri opinabili, ma corposi in tutte le ricerche) in attività di volontariato e di associazionismo civico che, se non proprio definibili come politica in senso stretto, sono legati a questa per prospettive e finalità di fondo, etica della condivisione e della responsabilità, progettualità e soprattutto generative di interessi collettivi. È prepolitica, bene, ma sempre utile.
Ma sono “delusi dalla democrazia”? Sorpresa! In un recente indagine dell’Ipsos sui corpi intermedi, presentata al Cnel a ottobre, si propende per il “no”. Alla domanda se si è d’accordo con questa affermazione: “La democrazia ormai funziona male, è ora di cercare un modo diverso/migliore per governare l’Italia”, studenti (e laureati) si mostrano meno d’accordo di tutti gli altri. Quindi sì, la cultura, ma anche l’età, mentre tra i più d’accordo si trovano quelli della fascia 31/50 anni.
Allora si può smentire il mito di come i giovani oggi si approcciano alla politica? Forse, è un impegno duro: ma chi educa, governa, informa, gestisce deve capire che linguaggi, dinamiche, strategie per avvicinare i giovani alla politica non possono essere le stesse di un tempo. Servono, e non ci si turbi, anche la mediazione di figure pulite, leggere, disinteressate, empatiche e simpatiche, che recenti format popolari utilizzati spesso dai new media, hanno visto premiati e vincenti. A patto che il loro impegno sia il punto di partenza e non di arrivo, di un percorso. E, inoltre, a patto di fare una grande profonda differenza, che un maestro di eccellenza come Aldo Moro individuava con chiarezza. Ricorda un suo insegnamento l’allievo Luciano Violante: “mi disse che bisogna distinguere tra semplificare e banalizzare. Chi semplifica toglie consapevolmente il superfluo, chi banalizza toglie inconsapevolmente l’essenziale”. Sembra facile, ma non lo è…
Vittorio Sammarco
Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale