“Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,36).
Per Gesù l’essere fratello degli altri non è qualcosa di “automatico”, come un diritto acquisito. Non siamo fratelli degli altri se non agiamo come tali. Il mio prossimo non è chi condivide la mia religione, la mia patria, la famiglia o le idee. Il mio prossimo è colui per il quale io mi impegno. Diventiamo fratelli quando ci impegniamo per coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Il samaritano non si è accontentato di prestare soccorso, lo ha curato, se ne è preso cura pagando tutto il necessario (Lc 10,35).
L’impegno nell’amore è la misura della fraternità. Non siamo fratelli se non sappiamo essere compassionevoli fino alla fine. Il samaritano ha dovuto fare uno sforzo per uscire da se stesso. Ha lasciato indietro il suo mondo e i suoi interessi immediati. Ha abbandonato il programma di viaggio, donando il suo tempo e i suoi soldi.
Farsi fratello dell’altro suppone uscire del “nostro mondo” per entrare nel “mondo dell’altro”. Significa soprattutto entrare nel mondo del “povero”. La fraternità è così esigente e difficile da praticare perché non consiste soltanto nel prestare un servizio esteriore, ma si realizza in un gesto di servizio che ci impegna, ci strappa da noi stessi per farci solidali con la povertà dell’altro.
Farsi fratello dell’altro acquista le caratteristiche di una riconciliazione. Al trattare l’altro come prossimo, il samaritano si riconcilia con lui e con gli altri uomini. Questo insegnamento è uno stimolo per ognuno di noi ed è la forza per creare un mondo nuovo: Va’ e anche tu fa’ lo stesso (Lc 10, 37).
Luis Rosón
Pastorale Universitaria