A pochi giorni dall’inizio dell’Avvento, trovo illuminante il romanzo di Eshkol Nevo La simmetria dei desideri (orig. ebr. 2008) che presenta la singolare vicenda di quattro amici. Questi giovani, molto affezionati e precisi nell’osservare regole di comportamento non scritte, erano soliti vedere insieme la partita finale dei campionati mondiali di calcio a partire del 1986 e allora in quella del 1998 decidono di scrivere su un bigliettino come sognavano di trovarsi alla finale successiva.
Il racconto mostra che i desideri sono il dato più decisivo e chiaro per dire dell’identità e dell’animo più caratteristico dei singoli personaggi. Le loro attività, peripezie, titoli, famiglia, estrazione sociale, formazione e studi, non sono così importanti per entrare nella comprensione dei soggetti. L’estrema mutabilità – filo conduttore del romanzo – tocca in pratica tutto, relazioni, sentimenti, impegni, ma i desideri rimangono, anche quando ciascuno dei giovani deve ammettere che sono quasi irrealizzabili. La storia si spiega quindi a partire dei desideri, il resto appartiene alla superficie, troppo mutevole per meritare maggiore attenzione.
L’esperienza del desiderare non consiste nel possesso di un oggetto, segnata dunque dalla staticità dell’avere, ma in un percorso che si comprende nella dinamicità dell’esistere. Si dice di un desiderio che è autentico se ha la capacità di portare il soggetto fuori di sé, sottraendolo alla logica del possesso, dell’utilità e dell’esclusività. Il bisogno tende invece all’eliminazione della mancanza attirando l’oggetto sotto il dominio del soggetto.
Jacques Lacan ha osservato che ogni desiderio è desiderio dell’altro: «Il desiderio dell’uomo trova il suo senso esattamente nel desiderio dell’altro, non tanto perché l’altro detenga le chiavi dell’oggetto desiderato, quanto perché il suo primo oggetto è di essere riconosciuto dall’altro» (J. Lacan, Ecrits, Paris, du Seuil 1966, p. 337). La reciprocità è ciò che rende il desiderio differente dal bisogno, e lo rende in pratica inesauribile, in modo che il soggetto desiderante è sempre carente, sempre sulla via della sua realizzazione.
L’attesa appartiene alla realtà del desiderio e guida la sua ermeneutica. Il desiderare umano include la separazione dalla realizzazione, la modificazione della percezione del tempo, l’elaborazione delle situazioni, e soprattutto il processo di identità che passa per la scoperta dei limiti e delle risorse personali, per la coscienza dei propri passi, per la condivisione dei successi e fallimenti.
L’augurio è quello di vivere l’attesa come percorso di ricerca della propria identità, specialmente in questo tempo di Avvento – un Avvento singolare quest’anno – per ritrovare il senso della crescita personale nell’attesa di Dio.
Antonio Escudero
Facoltà di Teologia